Lo ius soli e i progetti e i comizi della ministra Kyenge
di Francesco Caracciolo

Il 29 luglio 2013, a Cantù, la ministra dell’integrazione Kyenge interviene in consiglio comunale e, poi, alla festa del partito democratico. Al suo ingresso nella sala consiliare alcuni consiglieri si allontanano. Uno di essi spiega che “la presenza del ministro è stata una provocazione perché era in corso una seduta del consiglio comunale su temi concreti per i cittadini. Interromperla [la seduta] ha significato mancanza di rispetto verso l’istituzione”. Un altro dice: “Questa è una ministra del nulla e non mi rappresenta”. Queste contestazioni e manifestazioni di ostilità, come altre che si verificarono in altre circostanze, non impressionano certo la destinataria che alle domande dei cronisti risponde: “Non ci ho mai pensato nemmeno un attimo” di lasciare l’incarico di ministra. E in quella e in altre occasioni spiega che gli insulti a lei rivolti non offendono lei ma “offendono la coscienza civile di questo Paese”. Ma – ci chiediamo – chi ha detto alla Kyenge che la coscienza civile degli italiani sia offesa per gli insulti che lei riceve? Come fa a sapere che quello che lei progetta non è detestato dagli italiani? Forse confonde i falsi e ufficiali convenevoli a lei elargiti da pochi politicanti raccattatori di voti con la repulsione e lo sdegno degli italiani al solo sentir parlare di certi suoi progetti di ius soli, di accoglienza e di convivenza. La ministra non tiene conto della manifesta ostilità e continua il suo intervento, la sua visita che, secondo A. Brianza, uno dei contestatori, “si è risolta in un comizio, perché a noi consiglieri non è stata data la facoltà di replicare”. La ministra espone poi le sue teorie già note, da lei ripetute in altre circostanze. Tra l’altro spiega: “Siamo di fronte a una crisi che colpisce tutti, italiani e immigrati ed è inutile scatenare guerre tra poveri”. Ma guarda che accostamento azzeccato fa la ministra! Questi italiani e questi immigrati che si trovano sulla stessa barca in piena crisi, poveretti, non devono litigare ma devono volersi bene e convivere in pace e accoglienza nel bel Paese tanto buonista e mite di clima e di carattere. La ministra spiega poi che gli italiani non devono agitarsi ma devono rassegnarsi al fatto compiuto: “Abbiamo – ella dice – un milione di giovani stranieri in Italia che presto non avranno una identità definita. Dobbiamo pensare a un’Italia multiculturale”. Ma – ci domandiamo – qual è l’identità che la ministra vuole assicurare al milione di giovani stranieri? E’ forse quella che hanno acquisita i milioni di immigrati di prima, seconda e terza generazione ammassati nelle periferie delle città europee e del continente americano? E’ forse l’identità che si manifesta nell’inadattabilità, nelle endemiche rivolte, nelle violenze ricorrenti e mal contenute dalla polizia e mal gestite dalle istituzioni dei paesi civili come la Francia, il Regno Unito, la Svezia, il Brasile? E quale è la multicultura che la ministra auspica? E’ forse la confusione di costumi, di tradizioni, di modi di essere e di sentire che persistono immutati dopo generazioni e generano mancanza di coesione e sconvolgimento sociale? La ministra Kyenge non si accontenta di essere diventata lei italiana, ma vuole che altri milioni di immigrati, presenti e futuri, divengano italiani e si aggiungano agli oltre sessanta milioni di abitanti che sovrappopolano questa sventurata penisola, angusta e montagnosa, che va dalle Alpi al Lilibeo. Sì, la ministra è sicura di farcela, di far prevalere queste sue teorie, questi suoi progetti. L’Italia, la maggioranza degli italiani – lei dice – non è come quei pochi contestatori, quei poveretti che, in fondo, contano molto poco. Gli italiani sono buonisti e accoglienti e in Italia si può ottenere tutto. Glielo suggerisce la sua esperienza. A 19 anni la Kyenge partì dal Congo dove aveva studiato e coltivato le lingue inglese e francese, ma non la lingua italiana. Giunse in Francia e chiese di essere ammessa a un corso universitario, ma fu respinta. Si recò nel Regno Unito e chiese la stessa cosa, di seguire un corso di studi universitari, ma anche la liberale Inghilterra respinse la sua richiesta. Si diresse in Italia e qui, pur non conoscendo un’acca della lingua italiana, fu accolta, ammessa a un corso universitario e aiutata da generosi ecclesiastici; si laureò e divenne ministra. Guidata da questa personale esperienza, dal successo conseguito, la ministra si persuase di essere un battistrada, un apripista, lei come il campione Balotelli, e di potere ottenere dai buoni italiani l’accoglienza di milioni di immigrati e di suoi conterranei e la cittadinanza dei loro nati in Italia, di quanti, a suo avviso, sono e saranno fonte di ricchezza e fattore di crescita. Si persuase che quanto lei suppone, progetta e propone sia ormai divenuto una necessità che non si può né disconoscere né differire. E si deve fare ciò che lei progetta – dice lei – perché ormai gli immigrati in Italia sono molti, molti milioni e bisogna adeguarsi alle esigenze che nascono dalla loro presenza e ai nuovi tempi. Bisogna rassegnarsi alla promiscuità e al meticciato, ella dice e spiega. Ma la ministra, forse presa dalla fama cui è assurta e dalla convinzione che ha consolidata ripetendo le stesse cose, non riesce a capire che se gli italiani faranno quello che lei predica e progetta, in pochi decenni la penisola italiana sarà popolata da un guazzabuglio di genti, di individui e di gruppi etnici diversissimi, della più diversa e inconciliabile estrazione, incapaci di adeguarsi all’esistente e di intendersi anche fra loro. La penisola italiana sarà abitata in numero crescente da nuovi venuti e da loro discendenti che creeranno sconvolgimento sociale e stravolgeranno le istituzioni e le leggi, come sta cercando di iniziare a fare la ministra Kyenge progettando di mutare le norme vigenti con l’applicazione del suo ius soli moderato e la sua teoria dell’accoglienza e della convivenza. Altro che integrazione e fonte di ricchezza e fattore di crescita!